Ciao a tuttә!
Questa è Fratture, la newsletter che vi racconta il mondo penitenziario in Italia e le sue contraddizioni.
Ci siamo lasciatә lo scorso 15 maggio con “Pillole”, il nostro numero interamente dedicato al consumo di psicofarmaci in carcere, tra terapie e forme di controllo. Oggi usciamo dall’istituzione penitenziaria per occuparci di altri luoghi di privazione della libertà personale: i Centri di Permanenza per i Rimpatri (Cpr).
I Cpr sono strutture dove vengono recluse le persone che non dispongono di un permesso di soggiorno valido per rimanere in Italia, in attesa di essere espulse. Attualmente, sono presenti sul territorio italiano dieci Cpr, dove da anni sono documentate condizioni di trattenimento inumane e degradanti. Alcune inchieste - come questa di Luca Rondi e Lorenzo Figoni per Altreconomia - hanno inoltre rivelato un abuso in questi centri nella prescrizione di psicofarmaci.
Alla fine di ottobre 2023, l’associazione Naga e la rete Mai più lager - No ai Cpr hanno pubblicato un report, “Al di là di quella porta”, per denunciare le criticità della struttura presente a Milano, in via Corelli. Abbiamo quindi deciso di intervistare Nadia Bovino, volontaria del servizio legale di Naga, per esplorare il tema degli psicofarmaci in relazione al trattenimento nei Cpr.
Buona lettura!
Iniziamo. Quali sono stati gli ostacoli che avete incontrato nell'accesso al Cpr di via Corelli a Milano?
Allora, gli ostacoli che abbiamo avuto noi nell'accesso al Cpr sono gli stessi che hanno tutti i soggetti che fanno domanda per entrarvi, quindi giornalisti oppure persone che con le rispettive associazioni si occupano di migranti. Sono ostacoli a 360 gradi. Prima di tutto, bisogna presentare una domanda motivata alla Prefettura, che di solito non risponde oppure - se risponde - lo fa in modo laconico. Di solito la Prefettura o nega l'accesso per motivi di sicurezza o concede l'accesso, salvo poi revocarlo il giorno precedente o poche ore prima, sempre per motivi di sicurezza. Quindi, per poter entrare come delegazione ed effettuare una visita guidata, anzi scortata, di un paio d'ore, abbiamo dovuto fare una battaglia legale che è durata oltre un anno. Alla fine abbiamo vinto su tutta la linea e siamo entrati fisicamente, ma sapevamo molto bene che l'accesso fisico avrebbe rivelato ben poco: quando si entra fisicamente non è infatti consentito parlare con i trattenuti nei moduli abitativi per presunte ragioni di sicurezza e di rispetto della riservatezza dei trattenuti. Al massimo, si può fare un giretto nel corridoio sul quale si affacciano - come allo zoo - le “gabbie”, cioè finestre con delle reti di ferro. I trattenuti urlano il loro numero identificativo nella speranza che vengano registrati da noi, da chi passa di là: vorrebbero farsi chiamare per ottenere un colloquio. Qualche colloquio, comunque, lo siamo riusciti a fare in una saletta molto separata dai moduli abitativi, dove con tre o quattro trattenuti abbiamo sì avuto modo di parlare, ma non di scambiarci più di tanto i contatti. È stato infatti impedito loro di portare con sé il telefono cellulare, nel quale custodivano i loro numeri e i documenti.
Quali difficoltà avete avuto invece nell’accesso ai dati relativi al Cpr di via Corelli?
Esiste sicuramente una difficoltà di tipo documentale, ovvero di reperimento di quanto utile per conoscere i meccanismi che stanno dietro ai Cpr. Sapere, ad esempio, qual è stata l'offerta tecnica che ha determinato l'assegnazione di un bando a una certa cooperativa o azienda. Oppure avere informazioni sul numero di ambulanze che entrano nel Cpr, ma anche di eventi critici, morti, atti di autolesionismo, TSO; insomma, la lista è lunga. Abbiamo presentato richieste di accesso civico generalizzato a svariati enti: Prefettura, Agenzia di Tutela della Salute, Comune di Milano e Questura. Nei moduli, abbiamo inserito una lunga serie di quesiti: soltanto la domanda di accesso alla Prefettura conteneva 35 domande. Poi, abbiamo rivolto le stesse domande a soggetti diversi e abbiamo ottenuto a volte delle risposte diverse. Tra l’altro, gran parte delle risposte che abbiamo ricevuto non sono vere e proprie risposte, ma rimandano a un sito dove in realtà non c'è nulla, oppure rimandano ad altri enti, i quali a loro volta rimandano ad altri enti ancora. L’ostruzionismo ha riguardato anche il nostro accesso all'offerta tecnica. Avevamo chiesto, infatti, cosa avesse offerto l'ente gestore per vincere la gara d’appalto. La domanda è stata ritenuta illegittima perché la risposta avrebbe contenuto segreti professionali. Così, ci siamo decisi a fare ricorso. La cosa buffa è che, dopo pochi mesi, la Prefettura ha fatto marcia indietro e ci ha mandato tutto, raccomandandoci di “trattare con responsabilità” queste informazioni, come ci è stato poi ripetuto anche dal giudice. Abbiamo concluso che non era il caso di pubblicare l'offerta tecnica così com'era, né di dire tutti i nomi delle associazioni e delle cooperative che avevano siglato degli accordi con l'ente gestore. Dopodiché, qualche settimana più tardi, Altreconomia ha pubblicato un’inchiesta: telefonando a queste cooperative, i giornalisti hanno scoperto che si trattava in gran parte di falsi. A seguito del nostro report e dell’inchiesta di Altreconomia, la Procura ha aperto le indagini, che sono appena state concluse. Inizierà ora un processo che vede come imputato l’ente gestore che per ben due anni ha avuto in appalto il Cpr. È dal mese di gennaio che il Cpr di Milano si trova commissariato, ma la situazione all'interno è esattamente la stessa di prima.
In che cosa consistono, secondo voi, i limiti maggiori al rispetto del diritto alla salute per le persone trattenute?
Il punto fondamentale è che le persone sono solo sulla carta in carico al Servizio Sanitario Regionale: non avendo né tessera sanitaria né medico di base, qualsiasi prestazione è considerata fuori dal budget. Sul territorio nazionale, queste persone dovrebbero essere trattate come Stranieri Temporaneamente Presenti (STP) e, in quanto tali, dovrebbero disporre di un codice che sostituisce a tutti gli effetti la nostra tessera sanitaria. Questo codice STP, però, viene rilasciato solo una volta su due. Se rilasciato, l’ente gestore dovrebbe pagare un ticket per tutte le prestazioni svolte. È chiaro, però, che l'ente gestore meno spende sulla salute, più guadagna. Risultato: si tende a evitare il più possibile di effettuare prestazioni sanitarie. È più economico curare le persone nel presidio medico basilare dentro al Cpr, affidandole persone agli infermieri o al medico, presente di norma per pochissime ore. L'interesse economico comporta dunque l'abbandono di moltissime situazioni che, in condizioni di libertà, verrebbero prese in carico: si pensi, ad esempio, ai frequentissimi ma ignorati episodi di autolesionismo. O, ancora, alle persone con l'asma ma sprovviste dello spray salvavita o a chi è dilaniato dal mal di denti.
Cosa dire degli psicofarmaci nel Cpr?
Gli psicofarmaci sono l’unica cosa ad essere disponibile in abbondanza. Abbiamo visto persone con mani piene di pastiglie prenderli come fossero caramelle: le caramelle, però, più o meno le si mangiano una per volta; loro, invece, prendevano tutto quanto insieme. In infermeria c'è un foglio dove sono elencate le dosi massime prescrivibili. Un aspetto gravissimo lo abbiamo riscontrato dall’analisi di quelle poche cartelle mediche a cui abbiamo avuto accesso: a prescrivere psicofarmaci sono o medici non psichiatri (come chirurghi o ginecologi) o persone senza timbro e firma, quindi infermieri. Pare poi che gli psicofarmaci siano gentilmente offerti dall’ente gestore: molte persone trattenute ci hanno riferito che, appena entrate, è stato chiesto loro se volessero qualcosa per rilassarsi e dormire. Ci sarebbero molti aneddoti esplicativi sullo stato della tutela alla salute. Quando siamo entrati a marzo, ad esempio, abbiamo chiesto a tre dipendenti del Cpr dove si trovasse il defibrillatore: i tre hanno indicato tre punti diversi. Le notizie degli ultimi accessi sono poi ancora più allarmanti: pare che l’autolesionismo sia diventato così comune da non essere più nemmeno trascritto sul registro degli eventi critici.
Qual è secondo voi la strategia medica e politica alla base della somministrazione di psicofarmaci?
Gli psicofarmaci sono il sistema adottato da tutti i gestori di Cpr in Italia per tentare di tenere calmi i cosiddetti “ospiti” e governare una situazione pronta a esplodere. Lo psicofarmaco inibisce qualsiasi possibilità di ragionare e di agire, quindi soffoca a priori anche potenziali rivolte e proteste per le terribili condizioni di vita. Qualcuno prima di me ha detto che questi psicofarmaci sono una camicia di forza psichiatrica. Sono d’accordo: nei Cpr, le persone - se oppongono qualsiasi forma di resistenza - vengono sottoposte a una puntura di Valium fino a essere immobilizzate con delle fascette di velcro. Inoltre, gli psicofarmaci non hanno in questo caso alcun effetto positivo sulla salute: considera che il 50% di chi è recluso viene liberato sul territorio nazionale per l’impossibilità di eseguire il rimpatrio; dopo mesi di consumo, le persone in uscita dal Cpr hanno crisi d'astinenza e bisogni che prima spesso non avevano. Molti pensano che i Cpr conducano a maggiore sicurezza, grazie alla reclusione di soggetti ritenuti pericolosi. Al contrario, le persone sono rese pericolose proprio là dentro, anche perché drogate dallo Stato.
Come vengono accertate le condizioni di salute delle persone trattenute?
Prima dell'ingresso, dovrebbero essere soggetti neutrali, come l’Agenzia di Tutela della Salute o medici che lavorano per gli ospedali pubblici a svolgere la “visita di idoneità”. Queste figure sono però spesso invitate dalle forze dell'ordine, presenti durante queste visite, a sbrigarsi e a compilare rapidamente i moduli prestampati a crocette. Si effettua il tampone per il Covid-19, si escludono i sintomi legati ad una possibile tubercolosi. Questo è tutto: non c'è modo di approfondire ciò che non è visibile ad occhio nudo e ciò che non è una crocetta su un modulo; anche volendo, non c'è il tempo, non ci sono gli strumenti. Nella fase di ingresso, c’è poi un secondo momento di visita, questa volta effettuata in ambulatorio da medici dipendenti del Cpr. In questo caso, viene meno la neutralità nell’esaminare le condizioni di salute: se la persona dovesse presentare determinate problematiche, non sarebbe possibile farla accedere al Cpr; non convalidare il trattenimento significherebbe, però, perdere i soldi che da contratto vengono assegnati per ogni persona reclusa. Non è invece mai prevista alcuna visita psichiatrica, neanche durante la detenzione.
Esiste una correlazione tra carcere e Cpr?
A volte finiscono nei Cpr persone che prima stavano in carcere; in altri casi, invece, le persone entrano in carcere dopo essere state trattenute in un Cpr, magari a seguito di una condanna. Chi conosce entrambe le detenzioni è concorde nel dire che il carcere sia meglio da ogni punto di vista: ci sono attività, le cure sono migliori. Questo perché riguardo al carcere esiste una normativa, per il Cpr no. Quindi, chi dal Cpr finisce in carcere spesso festeggia. Nei Cpr non si può leggere perché i libri sono incendiabili, né scrivere perché le matite possono essere ingerite o usate per praticare autolesionismo. La carta è vietata, le matite sono vietate, i quaderni sono vietati. Nel Cpr di Milano chi è trattenuto ha il cellulare, che è l'unico svago, mentre negli altri Cpr d'Italia non viene concesso nemmeno questo.
Quali sono ora gli scenari più probabili per il Cpr di via Corelli?
Girano voci, qualcuno dice che verrà chiuso. De Corato [deputato di Fratelli d’Italia, ndr] aveva detto che sarebbe stato chiuso per un po’ di mesi così da migliorare la struttura in attesa del nuovo bando. Il Cpr di via Corelli, però, è ancora lì. Intanto, è in corso un nuovo bando per la gestione della struttura, rispetto alla quale è stato raddoppiato l'investimento: si tratta di più del doppio della spesa precedente pro capite per trattenuto, a fronte di un dimezzamento dei posti; sarebbero più di 80€ al giorno a persona, laddove si era partiti tre anni fa con una cifra che non arrivava neanche a 30€. È un po’ deludente pensare che l’attivismo intorno al Cpr di Milano potrebbe aver portato a un maggiore investimento su queste strutture.
Qualche consiglio
Un articolo di Luca Rondi e Lorenzo Figoni per Altreconomia in cui si descrivono le condizioni in cui versa attualmente il Cpr di via Corelli a Milano. Degli stessi autori è uscita lo scorso maggio un’inchiesta su appalti e gestione dei Cpr in Italia.
La rete Mai più lager - No ai Cpr ha lanciato la campagna di sensibilizzazione “E mi no firmo!” per invitare il personale sanitario a non ritenere idoneo il trattenimento delle persone in entrata nei Cpr.
Laura Loguercio ha analizzato su Il Post l’accordo tra Italia e Albania che prevede la costruzione e gestione da parte italiana di tre Cpr in territorio albanese. Segnaliamo sullo stesso tema un’inchiesta di Rondi e Figoni per Altreconomia e una puntata di Radio Melting Pot dedicata al punto di vista di alcune persone albanesi sulla questione.
Un dialogo multidisciplinare su Melting Pot, in cui più figure professionali riflettono sulla detenzione amministrativa e la sua violenza.
Grazie per essere arrivatə fin qui.
Se vi va di scriverci per feedback, commenti e segnalazioni in risposta a questa mail o tramite i nostri canali, a noi fa molto piacere.
A presto!
Mafalda, Nicolò, Gina ed Elisa
Un ringraziamento speciale per questo numero va a Nadia Bovino.
Fratture è una newsletter indipendente. Se ti piace il nostro lavoro, puoi iscriverti qui sotto e seguirci su Instagram, Telegram e Facebook. Per sapere qualcosa di più su di noi, visita la pagina About.