Ma che vergogna quel giorno in cui mi han beccato
Salii dalla preside ed ero lì imbarazzato
Ladro immigrato, così m'ha etichettato
Come quel giudice al primo reato
Primo reato, mi ricordo era estate
La tensione che sale mentre scendiamo le scale
Due agenti mi placcano, mi spingono e ammanettano
Io ero così piccolo che quasi mi si sfilano
- Da “Kayros”, di Sacky
Ciao a tuttә!
Questo è il numero dieci di Fratture, la newsletter che una volta al mese vi racconta il mondo penitenziario in Italia e le sue contraddizioni.
Oggi ci occupiamo di sovrarappresentazione delle persone straniere nel circuito penale minorile. In altri termini, riflettiamo intorno alla loro consistenza numerica: il 46% degli ingressi nei Centri di prima accoglienza, il 41% dei collocamenti nelle Comunità minorili e il 49% delle entrate negli Istituti penali minorili (dati aggiornati al 30 settembre 2024).
Una presenza molto significativa, considerato che lә stranierә tra i 14 e 17 anni che risiedono in Italia sono appena il 9% della popolazione della stessa età residente sul territorio italiano (calcolo effettuato su dati Istat aggiornati al 1 gennaio 2024). E un argomento decisamente comodo per chi sostiene vi sia un nesso causale tra immigrazione e criminalità.
Ma andando più a fondo, questi dati lasciano intravedere molto altro: la repressività delle norme (in primis del decreto-legge Caivano), le discriminazioni dietro alle attività di polizia (il fenomeno della profilazione razziale), la marginalizzazione socio-economica e giuridica di alcune categorie della popolazione (come lə Minori stranierә non accompagnatә).
Cominciamo.
Il d.l. Caivano: nel circuito penale sempre più minori, anche stranieri.
Quando nel 2023, ad agosto, il quotidiano Il Mattino ha diffuso la notizia che a Caivano, un piccolo comune della città metropolitana di Napoli, due cugine di 10 e 12 anni erano state violentate ripetutamente da «un branco di adolescenti», di devianza giovanile si è discusso molto. Soltanto un mese dopo il Governo ha annunciato un nuovo decreto-legge (d.l.), il d.l. Caivano, «in considerazione delle caratteristiche di maggiore pericolosità e lesività acquisite nei tempi recenti dalla criminalità minorile».
Il d.l. Caivano, che a novembre è stato convertito in legge, ha ampliato la possibilità di ricorrere alla custodia cautelare nei confronti di persone minori o giovani adulte (fino ai 25 anni). Per applicare questa misura, infatti, sono ora sufficienti le ipotesi di reato che prevedono una pena massima di 6 anni (e non più 9) o anche meno di 6 anni, se si tratta ad esempio di detenzione illecita di armi, furto aggravato, violenza, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, produzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Inoltre, in caso di fatti di lieve entità legati alle droghe, può essere disposta la carcerazione preventiva sia per lә minori che per lә adultә.
Secondo la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, questa «stretta» sarebbe stata necessaria perché la criminalità minorile «si sta diffondendo a macchia d’olio». I dati del Ministero dell’Interno, rielaborati graficamente nell’ultimo dossier dell’associazione Antigone, non mettono però in evidenza un aumento di arresti o denunce nei confronti dellә minori tra i 14 e 17 anni: escludendo il periodo pandemico, dal 2007 al 2023 le segnalazioni annuali sono rimaste costanti tra le 27.979 e le 32.566.
Insomma, il d.l. Caivano è figlio di una dottrina, quella del populismo penale, che - come scrivevamo già nel nostro numero zero - «minaccia punizioni esemplari per ottenere facili consensi». Ma queste misure non sono state solamente minacciate: al contrario, sono in vigore e, come ipotizzato nell’ultimo report del gruppo di esperti indipendenti delle Nazioni Unite per il superamento del razzismo in ambito giudiziario e di polizia, avranno probabilmente «un effetto sproporzionato sui minori afrodiscendenti».
Entrano infatti nel circuito penale sempre più minori e giovani adultә, italianә ma anche stranierә provenienti soprattutto dal Nord Africa e spesso non accompagnatә (cioè arrivatә in Italia senza genitori o altri rappresentanti legali). Con ricadute su:
- i Centri di prima accoglienza (Cpa), cioè le strutture per chi si trova in stato di fermo o di arresto e non ha ancora ricevuto la convalida da parte del giudice;
- le Comunità per minori (Cm), cioè le strutture per chi è indagatә o imputatә, ha ricevuto una misura alternativa alla detenzione o è in messa alla prova;
- gli Istituti penali minorili (Ipm), cioè le carceri per minori o giovani adultә fino ai 25 anni che hanno commesso il reato da minorenni.
Se da gennaio a settembre dello scorso anno gli ingressi nei Cpa erano stati 607, i collocamenti nelle Cm 1165 e le entrate negli Ipm 831, nello stesso periodo del 2024 gli ingressi nei Cpa sono stati 851 (+40%), i collocamenti nelle Cm 1412 (+21%) e le entrate negli Ipm 929 (+12%).
Ciò significa che, a un anno dal d.l. Caivano, gli Ipm sono per la prima volta alle prese con il sovraffollamento: secondo l'ultimo dossier dell'associazione Antigone, uscito lo scorso ottobre, 12 istituti su 17 superavano la capienza massima e i restanti 5 erano sulla soglia di superarla.
Guardando ancora al caso degli Ipm, questi sono alcuni dei tratti più significativi della componente straniera.
Tra le persone straniere che sono entrate in un Ipm nel 2024 (dati aggiornati al 30 settembre), il 92% era di genere maschile e il 77% di origine nordafricana (in particolare tunisina).
I reati maggiormente commessi sono stati contro il patrimonio (62%), contro la persona (20%) e contro lo Stato, le altre istituzioni e l’ordine pubblico (8%). Quest’ultima tipologia, che comprende soprattutto la violenza, la resistenza e l’oltraggio a pubblico ufficiale, è aumentata rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (+67%).
Va infine osservato come il 40% delle persone straniere detenute in Ipm sia in attesa di primo giudizio, mentre le persone italiane nella medesima posizione giuridica sono il 28%.
Se non se ne parla si può fingere che non esista: la profilazione razziale in Italia.
«Questa sovrarappresentazione [di persone straniere nel circuito penale, ndr] può essere attribuita a vari fattori, tra cui la povertà, l’accesso limitato a un’istruzione, un lavoro, un’assistenza sanitaria di qualità, e a un’abitazione adeguata, nonché alla mancanza di reti sociali e familiari. Questi problemi sono esacerbati dalla profilazione razziale e dalla criminalizzazione degli individui in quanto migranti, contribuendo a nutrire il razzismo sistemico nei confronti delle persone africane o di discendenza africana».
Così scrive il già citato gruppo di esperti indipendenti delle Nazioni Unite per il superamento del razzismo in ambito giudiziario e di polizia. Ma cosa significa «profilazione razziale»?
Con questo termine si intende «l’uso da parte delle forze dell’ordine, senza alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole, di pregiudizi fondati sulla razza, il colore della pelle, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica quando procedono a operazioni di controllo, sorveglianza o indagine».
Anche per Valeria Verdolini, responsabile dell’associazione Antigone in Lombardia che abbiamo intervistato, questo fenomeno ha una correlazione con il numero di persone straniere nei circuiti penali, in particolare minorili:
«Possiamo dire che i criteri di selettività e profiling delle forze dell’ordine portano non solo a una sovrarappresentazione degli stranieri in senso stretto, ma anche di coloro che sembrano stranieri, ovvero gli italiani di seconda generazione [privi di cittadinanza italiana, ndr]. Al Beccaria [Istituto Penale Minorile di Milano], ad esempio, il 50-55% è composto da persone straniere, il 20-25% da italiani di seconda generazione e un altro 25% da ragazzi italiani».
Ciononostante, in Italia le attività di monitoraggio sulla profilazione razziale sono piuttosto carenti e sono già costate al governo un richiamo da parte del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (Cerd) nel 2023 e, più di recente, un giudizio negativo da parte della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri), che nel suo sesto rapporto ha osservato:
«Le autorità [italiane, ndr] non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia, né sembrano essere consapevoli dell’entità del problema, e non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale».
Gli unici dati disponibili sono infatti contenuti in un rapporto pubblicato nel 2018 dall'Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (Fra) e mostrano come, tra le persone afrodiscendenti fermate nei 12 mesi precedenti al sondaggio, il 70% ritenga che «l’ultimo fermo sia stato motivato da ragioni razziali».
A fronte delle carenze istituzionali, il Coordinamento per Yaya, l’associazione Occhioaimedia - Cittadini del mondo di Ferrara e l’Università Goldsmiths di Londra hanno creato, nell’ambito del Progetto Yaya, un archivio in cui raccogliere testimonianze dirette e mettere in luce «il fenomeno della profilazione razziale in Italia, dove ancora non è raccontata né indagata, al contrario di molti altri Paesi europei». Questa è una delle testimonianze:
«A novembre 2018 sono stato fermato dai militari, quelli in servizio di pattugliamento urbano, cioè degli agenti di pubblica sicurezza. In quell'anno frequentavo il terzo anno della scuola superiore (corso serale), avevo lezione dalle 17:00 fino alle 22:00, a volte un po' più tardi se avevo un laboratorio; a scuola andavo sempre in bicicletta poiché non c'era l'autobus per il ritorno, non transita dopo le ore 20:30. Il giorno in cui mi fermarono avevo una lezione in laboratorio, quando finii la lezione uscii da scuola e presi la mia bicicletta per casa. Quando arrivai su via del Po, appena passato il ponte sulla salita, vidi un auto di pattuglia che mi sorpassava, [...] li vidi di nuovo che vennero verso di me, [...] mi chiesero dove fossi diretto e gli risposi gentilmente che stavo andando a casa, che venivo da scuola. Dopodiché mi chiesero il documento e io gli fornii il documento, poi due agenti rimasero, tenendomi d'occhio con le loro armi appoggiate sul petto, era come se avessero il sospetto che io nascondessi qualcosa, ma soprattutto continuarono a fissare il mio zaino che era attaccato sul portapacchi della mia bici e cominciarono a sussurrare fra loro, ma non lo perquisirono. Quelli che erano nell'auto fecero il controllo del documento, dopo 5 minuti nel freddo mi diedero il documento indietro e poi uno mi disse: “Sei a posto! Ti abbiamo fermato perché pensavamo che tu fossi come gli altri"; io gli chiesi: “In che senso come gli altri?”. Purtroppo non ebbi risposta».
Il caso dellә Minori stranierә non accompagnatә.
Maggiormente espostә all’ingresso nel circuito penale sono lә Minori stranierә non accompagnatә (Msna), cioè le persone minorenni straniere presenti sul territorio italiano senza i propri genitori o altri rappresentanti legali. Sono 19.696 (dati aggiornati al 30 settembre 2024): la fascia d’età più rappresentata è quella dei diciassette anni, sono presenti più minori di genere maschile (88%) che femminile (12%) e il principale Paese di cittadinanza è l’Egitto, a cui segue l’Ucraina. Ancora qualche dato: la regione che ne accoglie di più è la Sicilia (25%) e quella successiva è la Lombardia (13%).
Il decreto legislativo n.142 del 2015 è stato il primo a introdurre una norma specifica in merito all’accoglienza dellә Msna: prima di allora venivano applicate le indicazioni previste per lә minori in stato di abbandono. Nel 2017, successivamente a un ingente aumento di Msna sul territorio italiano, il quadro normativo di riferimento è stato implementato con l’introduzione della Legge Zampa, ovvero la legge n. 47 del 2017. L’intenzione era quella di aumentare la tutela dei diritti dellə Msna e, come si legge sul sito della Camera dei deputati, stabilire «il principio in base al quale il minore non accompagnato non può in nessun caso essere trattenuto o accolto presso i centri di permanenza per rimpatri (Cpr) e i centri governativi di prima accoglienza». Da ottobre 2023, però, è in vigore un nuovo decreto in materia di immigrazione (d.l. n. 133) che mette in discussione alcune delle questioni che erano state introdotte dalla legge Zampa e inserisce la possibilità per lә minori di essere trattenutә nei centri di accoglienza per adultə, andando così incontro a procedure approssimative e invasive per l’accertamento dell’età.
Oggi l’accoglienza, almeno sulla carta, si articola in due fasi. La prima riguarda la presa in carico all’interno di strutture di prima accoglienza, specificatamente pensate per lə minori e gestite dal Ministero dell’Interno, anche in convenzione con gli enti locali. Qui lә minori restano al massimo 30 giorni, per ricevere alcune informazioni sulla loro permanenza e affinché - entro i primi 10 giorni - le autorità ne accertino l’identità e l’età. Il secondo step, invece, riguarda l’indirizzamento presso il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), in cui lə Msna possono rimanere fino al compimento dei 18 anni e dove, sempre in via teorica, hanno accesso a un accompagnamento scolastico, medico ed educativo.
Moltə tra lə Msna non riescono però ad accedere all’accoglienza, così come prevista dalle norme, e si ritrovano a vivere una condizione di marginalità e solitudine.
Per saperne di più, ci siamo rivolte a Cesare Mariani, volontario attivo nelle unità di medicina di strada e nello sportello legale dell’associazione Naga.
«Quello dei Msna è un problema sempre più evidente perché l’aumento degli ingressi, registratosi negli ultimi due anni, non ha ricevuto risposte adeguate né dal Ministero degli Interni, responsabile della prima accoglienza, né dal Comune, obbligato a subentrare in mancanza di un intervento ministeriale. Il punto è che non ci sono abbastanza posti nelle strutture di accoglienza. Prendiamo Milano, dove si concentra la maggior parte dei Msna. Qui, in diversi periodi, le persone sono state costrette a mettersi in fila davanti agli uffici del Comune per chiedere di essere inserite in una struttura. Alcuni anni fa, ad esempio, siamo entrati in contatto con un gruppo abbastanza numeroso di Msna marocchini all’interno di un insediamento informale della periferia milanese: la prima locuzione che avevano imparato dell’italiano era “torna domani”, cioè quello che si sentivano ripetere dagli impiegati del Comune che si occupavano delle liste di attesa per l’accoglienza. Recentemente, almeno a Milano, ci si è cominciati ad appoggiare ai dormitori, malgrado questi non siano strutture pensate per i Msna. E, in ogni caso, il numero di Msna che restano in strada è ancora molto elevato: parliamo di centinaia di persone».
A fronte di una così carente presa in carico, lә Msna finiscono per commettere reati (soprattutto contro il patrimonio) e affollare gli Ipm. Al Beccaria di Milano, per esempio, rappresentano la metà della popolazione detenuta.
Sempre Mariani:
«Esistono diverse questioni discriminatorie dietro al numero elevato di Msna negli istituti. Prima di tutto, i Msna che non riescono ad accedere all’accoglienza sono sovraesposti alla probabilità di commettere reati per sopravvivere in strada. In secondo luogo, i Msna - così come gli stranieri in generale - hanno un accesso davvero sporadico alle misure alternative alla detenzione, anche nella fase cautelare, cioè prima di essere eventualmente condannati. A ciò si aggiunga che l’entrata in vigore del d.l. Caivano ha aumentato le casistiche per quanto riguarda l’ingresso dei minori nel circuito penitenziario. Una volta sono venuto a conoscenza di una situazione veramente drammatica riguardante un Msna. Si trattava di un ragazzo che era stato condannato per furto. All’epoca aveva 16 anni e viveva alla stazione di Milano, per strada. Nonostante l’evidenza della sua età era stato processato come un adulto e non aveva avuto accesso ad alcuna misura alternativa [al momento della condanna, infatti, non era ancora stata accertata la sua minore età, ndr]».
A proposito di Msna in carcere, abbiamo chiesto qualche dettaglio in più anche a Valeria Verdolini.
«I Msna sono concentrati negli istituti del Nord Italia per via della direzione assunta dai percorsi migratori. L’Italia, infatti, non è solo un Paese di destinazione: è uno snodo di passaggio per chi vuole proseguire verso il Nord Europa. Questo vale soprattutto per Milano, che è anche la città dove si esegue il maggior numero di arresti nei confronti di minori stranieri».
Spesso, però, lə Msna vengono trasferitə dalle carceri minorili del Nord Italia a quelle del Centro e Sud Italia.
Verdolini:
«Il fatto che non abbia i genitori sul territorio non significa che il Msna non abbia costruito delle reti. Viene invece dato per scontato che il Msna sia in una condizione di totale sradicamento; cosa che se non è vera, con il trasferimento lo diventa. Va poi osservato come le chance di inserimento lavorativo e di percorsi all’esterno siano presenti in misura maggiore al Nord, dove infatti i minori con cui ho parlato chiedono di essere ritrasferiti. Questo desiderio di ritornare al carcere minorile di origine prescinde dalle condizioni materiali degli istituti ed è motivato dal fatto che magari c’era uno zio, un amico, una rete, una possibilità di lavoro, un’educatrice o un’assistente sociale a cui si era legati».
Una volta uscitə dal carcere, le Msna che hanno ormai raggiunto la maggiore età rischiano inoltre di subire una seconda detenzione: il trattenimento in un Centro di permanenza e rimpatrio (Cpr).
Mariani racconta:
«Le persone diciottenni, già Msna, hanno maggiori probabilità di entrare in un Cpr se in passato hanno commesso reati. Nel Cpr sardo di Macomer, per esempio, un ragazzo è stato trattenuto dopo che aveva commesso un piccolo furto. Non un'eccezione se si considera che spesso le persone ex-Msna che escono dal carcere non vengono regolarizzate, come invece andrebbe fatto per legge, e per questa ragione sono maggiormente esposte alla detenzione amministrativa in Cpr».
Ma la possibilità di finire in un Cpr, al contrario di quanto previsto dalla legge, non è così remota neanche per lə minore.
«In alcuni casi è successo. Sempre nel Cpr di Macomer, una persona è entrata con un documento che ne dichiarava la minore età. Una relazione del Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense, ndr) di Milano aveva invece segnalato che si trattasse di una persona maggiorenne da circa una decina di giorni. Solo in un secondo momento questa persona è stata liberata. Altre volte abbiamo osservato come il Msna resti qualche giorno nel Cpr in attesa che ne venga accertata l’età: tutto ciò in contrasto con le norme italiane».
Qualche consiglio
Il progetto “Presidio culturale permanente negli Istituti Penali per Minorenni” dell’Associazione Crisi come Opportunità, che prevede laboratori di scrittura, rap e teatro in 7 degli Ipm presenti sul territorio nazionale. A questo link sono disponibili le attività dell’associazione e le canzoni realizzate dai ragazzi in collaborazione con rapper come Kento e Lucariello.
La serie televisiva “When they see us”, diretta dalla regista statunitense Ava DuVernay, sulla storia realmente accaduta di cinque ragazzi afroamericani di Harlem, a New York, accusati ingiustamente di aver commesso uno stupro. La serie mette in luce come il razzismo caratterizzi la condanna dei giovani, oltre al sistema penale e penitenziario generale.
Il commento di Susanna Ronconi per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto dedicato al rapporto del gruppo di esperti indipendenti delle Nazioni Unite per il superamento del razzismo in ambito giudiziario e di polizia, che abbiamo citato a più riprese nel corso di questo numero.
Free Palestine
Secondo i dati sommari forniti dalle autorità israeliane a B’tselem, organizzazione indipendente attiva contro l’occupazione e l’apartheid esercitate da Israele, le persone palestinesi detenute alla fine dello scorso giugno sotto la custodia israeliana erano 9.440.
A Dura, in Cisgiordania, il fotogiornalista Mosab Shawer ha raccolto diverse testimonianze di palestinesi che sono stati detenuti nelle carceri israeliane: gli hanno riferito che ciascuno di loro aveva un numero segnato sulla propria fronte. Si legge su Middle East Eye.
Anas Abu Srour, direttore palestinese di un centro giovanile di Betlemme, in Cisgiordania, è stato detenuto senza accuse per oltre 8 mesi in una prigione israeliana, dove ha subito forme di tortura e trattamenti degradanti. Ha condiviso la propria testimonianza su Al Jazeera.
Grazie per essere arrivatə fin qui.
Se vi va di scriverci per feedback, commenti e segnalazioni in risposta a questa mail o tramite i nostri canali, a noi fa molto piacere.
A presto!
Mafalda, Nicolò, Gina ed Elisa
Per questo numero un ringraziamento speciale va a Valeria Verdolini e Cesare Mariani.
Fratture è una newsletter indipendente. Se ti piace il nostro lavoro, puoi iscriverti qui sotto e seguirci su Instagram, Telegram e Facebook. Per sapere qualcosa di più su di noi, visita la pagina About.