#11: Lucine
Due persone ex detenute raccontano cosa significhi trascorrere il Natale in carcere.
Ciao a tuttә!
Questo è il numero undici di Fratture, la newsletter che una volta al mese vi racconta il mondo penitenziario in Italia e le sue contraddizioni.
L’uscita di oggi è dedicata al Natale. Non perché si tratti di una ricorrenza a cui teniamo particolarmente, ma perché in questo periodo la vita in carcere sembra quasi fermarsi: la scuola viene sospesa, molte delle attività vengono interrotte e - come ha scritto l’associazione Antigone - si resta solә «davanti al paradosso di una pena che costruisce il reinserimento sociale isolando le persone proprio dalla società».
In alcuni istituti i colloqui sono disponibili anche nelle giornate di festa, in altri viene concessa al massimo una telefonata da dieci minuti. Ci sono poi delle carceri in cui a ridosso del Natale vengono organizzati pranzi, tombolate o concerti, ma sono una minoranza. Così come sono una minoranza le persone detenute coinvolte da questo tipo di iniziative, che peraltro sono quasi sempre promosse da enti religiosi.
Prendiamo come riferimento le attività organizzate nel periodo natalizio del 2023 dalla Comunità di Sant’Egidio, storico movimento sociale di ispirazione cattolica, e da Prison Fellowship Italia, una delle principali associazioni cristiane attive nel campo della giustizia penale: su 190 istituti penitenziari, la prima ne ha interessati 37 e la seconda 27; delle oltre 60.000 persone detenute presenti a dicembre dello scorso anno, la prima ne ha raggiunte circa 9.000 e la seconda 4.000. Una minoranza, dicevamo.
Ora, però, entriamo nel vivo. Ci siamo fattә raccontare com’è il Natale in carcere da due persone che sono state detenute nella Casa Circondariale di Bologna, anche conosciuta come “Dozza”: Luna Casarotti è stata ristretta nella sezione femminile e oggi è attivista di Associazione Yairaha Onlus e Popolazione carceraria/Patrie galere; Fabrizio Pomes è stato invece recluso nella sezione maschile e da qualche mese lavora in esecuzione penale esterna.
Buona lettura!
Cominciamo: ci potreste descrivere com’è stato il periodo natalizio in carcere nella vostra esperienza?
Luna: «Il Natale in carcere è un momento pieno di emozioni diverse: per molti detenuti le festività portano a sentire ancora di più la mancanza della famiglia e della libertà. In quei giorni il carcere sembra spesso dimenticato dal mondo esterno. Fortunatamente, però, alcune associazioni e delegazioni entrano per dare un po' di conforto».
Fabrizio: «Per me il Natale è uno dei momenti peggiori per la vita di un carcerato: lascia sempre quel pizzico di malinconia e, soprattutto, fa sentire maggiormente il deserto relazionale e la distanza dagli affetti. In carcere, poi, non è facile ricreare un po’ di atmosfera natalizia. Ad esempio, per poter ottenere un alberello di qualche centimetro con due lucine ho dovuto presentare diverse istanze, insieme ad altre persone. Dopodiché, c’è da dire che già da inizio dicembre si cominciava tra detenuti a organizzare momenti di condivisione e socialità per quei giorni di festa; in genere si stava insieme il 24 sera, il 25 a pranzo, il 26 e anche Capodanno. Ci si organizzava con le persone con cui c'era maggiore affinità o un rapporto di amicizia, compatibilmente anche con gli spazi della cella: portando qualche tavolo si riusciva a stare, anche se stretti, in massimo otto persone. Siccome c'era da ordinare dal sopravvitto* quello che serviva per mangiare insieme, ci si riuniva per pianificare. Quelli che si occupavano di cucinare pensavano ad un menù, tenendo in considerazione anche cosa c’era a disposizione in vendita. Pagavamo tutto noi, ovviamente. Poi c’era anche una parte - diciamo - più ludica. Noi, ad esempio, mettevamo un po' di musica napoletana per ravvivare la serata: canzoni come “Papà è Natale”, di Patrizio - un po’ malinconiche, ma che alla fine ti fanno vivere. L’amministrazione non è mai intervenuta se non per autorizzare che la chiusura delle celle avvenisse un'ora più tardi: non alle 20 ma alle 21, così da dare l'opportunità ai detenuti di stare qualche momento in più insieme. Oltre a ciò, ci consegnavano solitamente una fetta di pandoro. Questo».
* Il sopravvitto è l’insieme di prodotti - come generi alimentari, detersivi, cancelleria e sigarette - acquistabili attraverso un servizio gestito dall’amministrazione o da una società esterna.
Luna: «Sì, anche noi in sezione femminile potevamo preparare il cibo tutte insieme e poi mangiare in compagnia. Prima della sentenza Torreggiani, invece, trascorrevamo il periodo natalizio solamente con le nostre concelline e altre due detenute che venivano nella nostra stanza per un paio di ore: l’atmosfera e il clima erano decisamente meno sereni e piacevoli».
Le attività durante il periodo natalizio venivano interrotte? Venivano promosse, invece, iniziative legate al Natale?
Fabrizio: «Le attività venivano interrotte, come in tutti i periodi peggiori. In più, nel periodo natalizio, come durante l’estate e Pasqua d’altro canto, si accusava molto anche l’assenza di volontari: un carcere senza volontari è un carcere monco, dal momento che lo Stato da solo non riesce ad assolvere fino in fondo a quella che dovrebbe essere la sua funzione di rieducazione e di risocializzazione. Si tratta di periodi in cui non c'è alcun tipo di attività trattamentale, chiude la scuola, chiudono tutti i laboratori: la vita si appiattisce ancora di più. A Natale non c'è nulla, tolte le attività più religiose non c'è nient’altro. Non è che ci sia il concerto di Natale, ad esempio. In altri periodi dell’anno c’è invece qualche attività, come alcuni spettacoli di teatro o iniziative in collaborazione con il comune di Bologna. Credo che la scelta di non organizzare niente durante le festività natalizie sia legata anche a una logica di sicurezza: non avendo un numero di agenti sufficiente a controllare le sale di socialità, tutte le richieste delle associazioni vengono rifiutate a priori».
Luna: «Anche nella sezione femminile le attività ordinarie, come la scuola e altri corsi, venivano sospese. Non c'erano molte iniziative alternative, che comunque coinvolgevano solo un piccolo gruppo di persone, generalmente non più di quindici o venti detenute. Si poteva andare nella sala cinema a vedere un film e partecipare alla discussione al termine della proiezione. Questo era un momento di unione per le detenute che, altrimenti, non potevano vedersi: i due bracci della sezione femminile sono infatti divisi da due cancelli e disposti ad angolo. Un’altra opzione, per chi era interessata, era la partecipazione al coro natalizio per la messa di Natale».
Che tipo di momento era la messa di Natale?
Luna: «Alla Dozza, la messa di Natale si celebrava nella chiesa più grande delle tre presenti all’interno del carcere e vi partecipavano anche i detenuti della sezione maschile. Pure nel caso della messa c’era un numero massimo di persone e non tutte potevano esserci. Al maschile, invece, le sezioni sono molte di più, quindi in chiesa il giorno di Natale si finiva per essere quasi seicento. Personalmente, in cinque anni, sarò andata due volte, non di più, perché le altre volte non mi è stato permesso. Quando si avvicinava il 25 dicembre, infatti, c’era da fare la domandina* per chiedere di partecipare. Bisognava, però, essere andate a messa anche durante l’anno per poterci essere il giorno di Natale. A dire la verità, la messa natalizia era soprattutto un momento per vedere i detenuti del maschile o “il proprio uomo”, a nessuna o quasi interessava l’aspetto religioso».
* La domandina è il termine infantilizzante usato comunemente in carcere per indicare la richiesta scritta della persona detenuta.
Fabrizio: «Nella mia esperienza, per partecipare alla messa non c’era bisogno di presentare una domandina, forse era uno dei pochi momenti in cui avveniva una chiamata collettiva e potevano partecipare tutte le persone che lo desideravano. È vero che era un momento particolare, vista l’occasione per alcuni di interagire con le detenute del femminile. Capita poi non di rado che le donne detenute siano sposate o fidanzate con persone che stanno nella sezione maschile, per cui è un'occasione di incontro che si aggiunge ai colloqui interni. Il tutto avveniva comunque in modo limitato, sotto il controllo della Polizia penitenziaria, che faceva da divisore tra i due settori. Infatti, anche se eravamo tutti nella stessa chiesa, la sezione femminile ne occupava una parte e quella maschile un’altra. Eravamo adiacenti, ma non ci era permesso mischiarci, non potevamo sederci dove volevamo. Anche una volta finita la messa risalivamo secondo un preciso ordine. Al termine della celebrazione venivano distribuiti un calendario, qualche cioccolatino o alcuni biglietti di augurio da poter inviare alle famiglie, cose così. Poi, qualche giorno prima del 24, nelle sezioni venivano le suore di Madre Teresa di Calcutta per suonare la chitarra vicino all'ingresso degli sbarramenti delle varie sezioni e distribuire un piccolo Gesù bambino in ceramica o altri pensierini. Per far sentire un po' di calore, insomma, perché sennò il Natale non lo percepiresti proprio come festa».
I colloqui si potevano svolgere anche durante il giorno di Natale?
Luna: «No, il giorno di Natale no. I giorni precedenti veniva concessa qualche ora di colloquio in più e i volontari portavano anche qualche dolce o salatino da mangiare».
Fabrizio: «No. Io che avevo un reato di tipo ostativo potevo usufruire di soli quattro colloqui al mese [non sei, come per i detenuti ritenuti “comuni”, ndr], ma potevo organizzarmi per avere un colloquio in prossimità delle feste. Considera che i colloqui erano possibili solo in una giornata tra lunedì e venerdì, per cui noi che ce l’avevamo di giovedì dovevamo scegliere la data più vicina al Natale. Potevano però partecipare solo tre adulti, quindi io che ho tre figli grandi e una moglie non potevo vedere tutti nella stessa occasione. Comunque non sempre si ha la fortuna di ricevere una visita perché la famiglia magari è lontana, addirittura in un altro Paese: in quel caso si può fare solo una videochiamata. In generale, a ridosso del Natale il colloquio assume una valenza diversa, la malinconia prende il sopravvento: pensi a quanto vorresti passare quel periodo con i tuoi cari, a casa. Quest'anno ho messo gli addobbi natalizi con un mese d’anticipo e a Santa Cecilia [il 22 novembre, ndr] avevo già montato l’albero e il presepe: mi erano mancati moltissimo durante la detenzione».
Come funziona l’arrivo dei pacchi per Natale? Se si pensa alle famiglie o allə amichə che vogliano fare un regalo alla persona cara detenuta, che restrizioni ci sono?
Fabrizio: «Dipende dall’agente di Polizia penitenziaria che incontri, c’è chi è più rigido e chi invece capisce l’inutilità di alcune restrizioni. È possibile che un prodotto un giorno venga fatto entrare e il giorno dopo invece no. Questo succede anche per i pacchi: calcola che c’è gente che li invia da regioni molto distanti, come Sicilia, Calabria, Campania o Puglia, e poi a volte non vengono fatti entrare. A me è capitato che alcuni amici “di giù” mi mandassero anche solo dei biscotti, ma tutto ciò che è ripieno non è consentito, tutta la pasticceria non viene fatta entrare; i libri sono consentiti, ma non devono avere una copertina rigida, altrimenti viene tagliata».
Luna: «La maggior parte delle detenute riceveva i pacchi da fuori; se qualcuna non aveva nessuno fuori, naturalmente la si aiutava, come sempre. Mio papà difficilmente riusciva a venire a colloquio tutte le sei ore mensili; quando, ci vedevamo, però, portava sempre il pacco con il cibo».
Era possibile chiedere allə magistratə di sorveglianza un permesso premio per uscire nei giorni festivi?
Luna: «Se avevi accesso ai permessi premio sì, altrimenti no. Io i miei permessi premio li ho avuti a fine pena, quando mancavano due mesi; duravano, però, quattro ore. In quel lasso di tempo io dovevo arrivare da Bologna a Ferrara, mi veniva a prendere mia zia, poi un’altra mezz’ora di strada. A quel punto stavo con mio papà per tre ore, poi usavo l’ultima mezz’ora per tornare indietro, in carcere. In generale, comunque, se hai accesso ai permessi devi passare per il magistrato».
Fabrizio: «Da quanto ho potuto osservare, nel periodo natalizio il Tribunale di sorveglianza è più prodigo nel rilascio dei permessi, anche perché capisce che la speranza di un detenuto è data dalla rete relazionale che ha fuori dal carcere e dalla possibilità di creare e consolidare i suoi rapporti affettivi. Perché la verità è che se esci senza aver potuto accrescere l'affettività hai un rischio di recidiva che è molto più alto rispetto a chi, invece, ha avuto una famiglia che l’ha supportato oppure un punto di riferimento stabile a cui ha potuto appoggiarsi. Se non si riesce a ottenere il permesso si vive una forte amarezza, sensazione che va ad aggiungersi alla malinconia. Inoltre, dal momento che molte persone riescono ad avere il permesso premio, la sezione tende a svuotarsi un po' e questo rende ancora più dura la vita di chi invece non l'ha ottenuto e che deve rimanere dentro. Certo, questi sono momenti in cui bisognerebbe essere felici di vedere gli altri detenuti uscire, ma in realtà - se vogliamo dircela tutta - c'è sempre della recriminazione sul fatto che altri possono uscire quando tu invece sei costretto invece a rimanere dentro. C’è un po’ di amarezza nel non aver ottenuto lo stesso beneficio».
Un’ultima domanda: vi ricordate se in quel periodo venissero organizzati presidi fuori dal carcere per farvi sentire la vicinanza dall’esterno? Se sì, come vivevate quei momenti?
Fabrizio: «Tutto dipende da dove è collocata la tua sezione. Io ho potuto sentire i presidi che si facevano fuori dal carcere solo nella parte finale della mia detenzione, perché prima ero in alta sicurezza e poi nella sezione penale, ed entrambe sono piuttosto isolate. Per cui, tolto qualche mortaretto che veniva sparato in occasione dei compleanni dei detenuti o dei presidi, non riuscivo a percepire la presenza delle persone che dall'esterno si stavano battendo per noi o per far conoscere ai detenuti i propri diritti. Che comunque è difficile: sabato abbiamo fatto una manifestazione in piazza Lucio Dalla, qui a Bologna, proprio per portare l’attenzione sul dramma dei suicidi, però eravamo sempre più o meno i soliti noti. Io mi sento di riconoscere al mondo del volontariato di aver ricoperto un ruolo importante durante il mio periodo di detenzione e quindi voglio ripagarlo per quello che ha fatto per me attraverso la mia partecipazione ad ogni tipo di evento che riguardi il carcere. Su questi temi, però, non c'è mai un’adesione massiccia. A eccezione del 9 marzo del 2020, in corrispondenza del Covid, quando durante la rivolta nel carcere di Bologna avvertimmo - e lo potemmo vedere anche in televisione - che fuori c'erano i familiari e c'era il presidio degli anarchici: c'era insomma un movimento intorno alle problematiche del carcere».
Luna: «Sì, i presidi venivano fatti sia a ridosso di Natale sia durante il resto dell’anno, in occasione di altre festività o in estate. Il punto in cui si tenevano non era troppo distante da noi del femminile, quindi da dentro, urlando o sbattendo delle pentole, era possibile farci sentire da fuori. Allo stesso tempo, da fuori, percepivamo solidarietà».
Un appello a familiari e a ex detenutә in Ipm
Oltre a Luna Casarotti e Fabrizio Pomes, ci sarebbe piaciuto inserire la testimonianza di unә familiare di una persona detenuta per restituire il punto di vista di chi, pur stando fuori dal carcere, ne vive l’isolamento e la separazione dai propri affetti. Alla fine non è stato possibile, ma se unә familiare di una persona detenuta vuole condividere con noi la propria esperienza (a prescindere dal Natale) può contattarci senz’altro: ne saremmo molto contentә!
Lo stesso vale anche per coloro che hanno trascorso un periodo di detenzione in un Ipm e rispettivә familiari.
La nostra mail è sempre fratture.newsletter@gmail.com.
Grazie!
Qualche consiglio
Ve lo abbiamo già segnalato altre volte, ma il consiglio è sempre valido: Kento, rapper che tiene - con il supporto dell’associazione Crisi Come Opportunità - laboratori di rap nelle carceri minorili, ha scritto su Il Post di un evento di Slam Poetry organizzato a ridosso di Natale in un Ipm. A essere approfondite sono anche le emozioni che questa occasione ha suscitato in lui e nellə ragazzə detenutə che vi hanno preso parte.
Cosa avrebbero fatto a Natale e Capodanno del 2003 - se non fossero statə detenutə - alcunə ragazzə dell’Ipm di Treviso: qualche testimonianza su Ristretti Orizzonti.
Sulla condizione di ulteriore isolamento che le persone detenute vivono nel periodo natalizio, esacerbato dalla riduzione delle attività dentro le carceri, un articolo di Francesca Polizzi su True-news, con l’intervento anche di Valentina Calderone, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma.
“Il Natale in carcere raccontato da tre detenuti": in questa puntata di Radio Carcere, risalente al 21 dicembre 2023, il conduttore Riccardo Arena intervista tre persone che hanno trascorso (almeno) un Natale in detenzione. Particolarmente interessante, a nostro avviso, la testimonianza di Maria, che è stata ristretta a Rebibbia insieme alla figlia piccola.
Altre testimonianze: una, di Francesco Ceraudo, su Ristretti Orizzonti (2019); la riflessione - su ilsussidiario.net - di una persona detenuta che ha trascorso il Natale accolta da una famiglia, dopo quattordici anni di detenzione nel carcere di Padova (2023); una video-intervista a persone detenute nel carcere di Santa Bona, su Youtube (2023).
Free Palestine
«Quando sono tornato a casa ho fatto visita alle famiglie dei miei compagni di cella: a tutte ho detto che i loro cari stavano bene, anche se in realtà non riuscivano ad alzarsi dai materassi. Hanno finto di crederci». Su il manifesto, un ex prigioniero palestinese racconta le torture che ha subito nelle carceri israeliane, dove ha perso ventisette chili.
Oltre 11.000 sono le persone palestinesi detenute sotto la custodia israeliana, a esclusione delle strutture situate nella Striscia di Gaza. Da ottobre 2023, circa cinquanta sono morte durante la detenzione. Questi i dati diffusi dal ministero competente dell’Autorità palestinese, ripresi e integrati con alcune interviste da Fayha Shalash per The New Arab.
Su The Middle East Eye, sempre Fayha Shalash ha approfondito la condizione delle donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane.
Da ottobre 2023 le autorità israeliane hanno arrestato settantadue giornalistə palestinesi, quelle palestinesi ne hanno arrestatə tre. Un resoconto dettagliato dell’organizzazione indipendente Comitato per la protezione dei giornalisti.
Grazie per essere arrivatə fin qui.
Se vi va di scriverci per feedback, commenti e segnalazioni in risposta a questa mail o tramite i nostri canali, a noi fa molto piacere.
A presto!
Mafalda, Nicolò, Gina ed Elisa
Un ringraziamento speciale per questo numero va a Fabrizio Pomes e Luna Casarotti.
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