Casa Circondariale Montacuto, ad Ancona. Credits foto: Corriere Adriatico.
Ciao a tuttə!
Questo è il numero uno di Fratture, la newsletter che una volta al mese vi racconta il mondo penitenziario in Italia e le sue contraddizioni.
Oggi affrontiamo una questione che, secondo noi, spesso non viene approfondita a sufficienza dal mondo dell’informazione: la dimensione di affettività e sessualità in carcere.
Tra le infinite privazioni a cui le persone detenute sono sottoposte, vi è anche, infatti, il diritto negato di coltivare relazioni intime in modo continuativo e soddisfacente. Partendo da un inquadramento giuridico, esploriamo poi come questa carenza si ripercuota sulla vita di chi è detenutə e dei suoi affetti.
In fondo alla newsletter, trovate i nostri consigli di visione e lettura sul tema, oltre a una sezione dedicata alla Palestina. In questo momento storico, ci sembra necessario prendere posizione a sostegno di Gaza e fare luce su una delle molteplici forme di violenza perpetrate da Israele: quella in ambito carcerario.
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Buona lettura!
«Manifestare affetto era una questione di piccoli gesti: una volta ho detto a mio padre che, da quando era in carcere, aveva cambiato odore, non aveva più il suo. Da quel momento, lui ha cominciato a passarsi del limone sulle mani prima delle mie visite, per avere un odore buono. Era un piccolo gesto che per me ha significato tantissimo».
- testimonianza di S.
Stato dell’arte di un diritto negato
Per una persona privata della libertà personale, le relazioni con l’esterno sono fondamentali perché attenuano il profondo senso di solitudine e isolamento imposto dall’istituzione carceraria. Inoltre, il mantenimento del legame affettivo con partner, familiari e amicə fuori dalle mura dell’istituto, e la tutela - tra gli altri - del diritto alla genitorialità e alla sessualità, possono favorire sensibilmente il reinserimento sociale della persona ex-detenuta. Ciononostante, l’affettività intramuraria viene messa a dura prova dall’ordinamento penitenziario, che prevede un numero preciso di telefonate e colloqui variabile in base alla pena.
Durante l’emergenza Covid-19, l’amministrazione penitenziaria ha aumentato il numero di telefonate, introducendo inoltre le videochiamate in sostituzione ai colloqui visivi. In questo modo, alcune persone detenute hanno potuto vedere online affetti residenti all’estero o in comuni lontani, che in presenza incontravano raramente o mai, a prescindere dalla pandemia. Oggi, secondo un rapporto dell'associazione Antigone, alcuni istituti sono tornati alla disciplina pre-Covid, altri invece hanno perseverato in questa direzione.
Le telefonate possono svolgersi solo nelle fasce orarie stabilite dall’istituto e sono a spese della persona detenuta. Tramite il centralinista, si può telefonare a un contatto fuori dal carcere, ma chi è fuori dal carcere non può fare altrettanto; o meglio, può eseguire la chiamata, ma alla persona ristretta viene comunicato solo il nome di chi l’ha cercata, senza la possibilità di rispondere.
Una persona detenuta in carcere non può scegliere autonomamente quali affetti tutelare. Per il Ministero della Giustizia, tra questi rientrano in primis i «familiari», categoria per la quale si intendono coniugi, conviventi e parenti entro il quarto grado. Esistono poi le «terze persone», che però vengono autorizzate solo se agli occhi della Direzione hanno «ragionevoli motivi» per incontrare o chiamare la persona detenuta.
Tuttavia, i limiti posti all’affettività non rispecchiano fedelmente il paradigma della famiglia tradizionale (relazione eterosessuale, sancita dal matrimonio): familiari non sono solo marito o moglie, ma chi «indipendentemente dal sesso» ha convissuto insieme alla persona detenuta. In questo modo, però, come sottolinea (p.8) l’avvocato Alessandro Zaffanella, vengono penalizzate le amicizie e, ad esempio, partner che non sono sposatə o non hanno mai convissuto con la persona detenuta. Solo la corrispondenza epistolare sfugge al modello affettivo imposto dal carcere: la persona detenuta può inviare e ricevere lettere ogni giorno, senza restrizioni sui destinatari o sui mittenti (p.16). S., di cui abbiamo raccolto la testimonianza, ci racconta: «Le lettere hanno rappresentato un momento intimo e privato, spesso molto più dei colloqui, in cui invece hai sempre il tempo contato».
I colloqui sono per legge sottoposti al controllo visivo ma non auditivo del personale di custodia. Tuttavia, la possibilità di intrattenere conversazioni private può venire meno per l’assenza di luoghi più appartati e la sorveglianza ravvicinata di agenti penitenziariə; inoltre, l’inquinamento acustico nella sala colloqui rende spesso faticosa la comunicazione. Per quanto riguarda la registrazione delle telefonate di detenutə ordinariə, questa può essere stabilita su iniziativa dell’autorità giudiziaria, mentre ciò avviene sempre in caso di regime speciale. Una forma di controllo continuo che l’avvocata penalista Agata Russo ha definito «architrave del dispositivo proibizionista dell’intimità e, quindi, [con riferimento ai colloqui] della sessualità inframuraria».
Tradotto: chi potrebbe mai godersi un momento di intimità o, ancora più impensabile, sessualità, sapendo di essere osservatə e poter essere ascoltatə?
A eccezione dei rapporti tra persone assegnate alla stessa sezione, la sessualità in carcere non è praticabile. Solo in contesti extra-penitenziari può essere esercitata senza vincoli legati al controllo a vista, a partire da una logica di premialità: se la persona detenuta mantiene una «regolare condotta» e dimostra di non essere «socialmente pericolosa», il magistrato di sorveglianza può concederle permessi premio fuori dal carcere fino a 15 giorni e per un totale di 45 giorni l’anno. Nei fatti, però, si tratta di un privilegio: considerato che una stessa persona può accedervi più volte, il numero di permessi premio concessi nell’arco del 2022 è stato di 24.700, a fronte di una popolazione carceraria di 56.000 presenze.
Così come l’assegnazione del premio, anche la punizione è discrezionale e può avere delle ricadute sull’affettività. È il caso del trasferimento disciplinare, che, pur non comparendo tra le sanzioni dell’ordinamento penitenziario, viene utilizzato come risposta al crescente numero di aggressioni da parte di detenutə nei confronti del personale (circolare DAP). Attraverso questo provvedimento, la persona ristretta può essere trasferita in un istituto potenzialmente più lontano dalla città di residenza dei familiari.
Nuovi scenari
Il 5 dicembre 2023 la Corte Costituzionale si è riunita per stabilire se l’art. 18 dell’Ordinamento Penitenziario sia illegittimo «nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia». La legge penitenziaria non vieta infatti il diritto alla sessualità, ma lo esclude nel momento in cui prevede il controllo a vista durante il colloquio da parte del personale: una negazione de facto che per Fabio Gianfilippi, il Magistrato di Sorveglianza che ha presentato il ricorso alla Consulta, sarebbe in contrasto con la Costituzione e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Tra le mura
Limitando l’affettività a un numero stabilito di colloqui e telefonate e la sessualità all’ambito extra-penitenziario, il carcere si palesa in tutta la sua violenza quale spazio in cui l’intento punitivo sovrasta la tutela psicofisica dei soggetti detenuti.
Nella ricerca sui suicidi in carcere del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, viene evidenziato quanto la possibilità di coltivare affetti e relazioni sia indispensabile per poter accorciare la distanza tra il dentro e il fuori, mitigando così il senso di vuoto che pervade l’esperienza detentiva. La privazione della libertà è caratterizzata dal netto allontanamento della persona detenuta dai propri legami e dallo sfaldamento dei contatti con l’esterno, utili tanto durante lo sconto della pena quanto una volta uscitɘ.
Le stesse persone detenute sottolineano che poter continuare a pensare di far parte di una rete famigliare e sociale sia fonte di rassicurazione e incoraggiamento, soprattutto laddove l’esterno - la vita dopo il carcere - impaurisce e disorienta. Nel video “Affetti banditi: sesso e famiglia dietro le sbarre”, nato dalla collaborazione tra Repubblica e Antigone, si possono ascoltare le testimonianze di alcunə detenutə del carcere di Padova che raccontano la protesta - avvenuta nel 2017- volta a ottenere più telefonate e momenti di intimità e affettività con lə propriə carə, ritenuti imprescindibili per il proprio benessere.
Anche di recente hanno preso vita numerose proteste con l’obiettivo di portare l’attenzione sulle condizioni degradanti in cui versano i penitenziari, denunciando inoltre quanto sia afflittivo non avere il diritto di poter coltivare con adeguata intimità e costanza i propri affetti. L’ultima rivolta è avvenuta nell’Istituto di Santa Maria Capua Vetere il 4 gennaio 2024: in questo caso, la scintilla del conflitto è stata la negazione di un permesso di uscita.
Un episodio analogo si è registrato nel marzo 2020. All’inizio dell’emergenza Covid-19, alle persone detenute non sono stati concessi colloqui e molte delle attività trattamentali sono state sospese. Questi provvedimenti, uniti a una situazione carceraria già al limite e a una comunicazione non sempre limpida su quanto stesse succedendo a causa della diffusione della pandemia, hanno scatenato delle rivolte in numerosi istituti italiani. Il bilancio è stato durissimo: sono morte nove persone detenute nel carcere di Modena, una a Bologna e tre a Rieti. Una strage raccontata dal giornalista Luigi Mastrodonato nel podcast Tredici.
Questi avvenimenti ci parlano dell’importanza dell’affettività e della sessualità in carcere, diritti che quando repressi o negati aumentano la probabilità di “eventi critici”. Qui ci riferiamo in particolare all’alto numero di suicidi che ha caratterizzato tanto il 2022 - 85 suicidi, il dato più elevato degli ultimi dieci anni - quanto il 2023, in cui si sono tolte la vita 68 persone. Sempre nel report stilato dal Garante si legge che l’Italia, rispetto ad altri paesi europei, non ha un tasso di suicidi particolarmente elevato, ma questo numero aumenta di 15 volte quando si parla di popolazione detenuta.
Lo scorso agosto, nel carcere delle Vallette di Torino si sono suicidate nell'arco di 24 ore due donne detenute: Susan John, che si era rifiutata di mangiare finché non avesse visto il figlio di quattro anni, residente in Sicilia, e Azzurra Campari, la cui madre manifestava da tempo l’urgenza di non lasciare sola la figlia per la sua condizione di fragilità. Una dinamica rievocata tragicamente dal caso del 23enne Matteo Concetti, che il 5 gennaio 2024 si è tolto la vita nel carcere di Montacuto ad Ancona dopo essere stato messo in isolamento. La madre aveva più volte segnalato il forte malessere del figlio a diverse figure all’interno dell'istituto, nonché - il giorno stesso del suicidio - all’onorevole Ilaria Cucchi. Poco dopo la morte di Matteo, Cucchi ha scritto una lettera aperta al Sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove.
Questi fatti non possono essere narrati solo come una diretta conseguenza della detenzione poiché subentrano più fattori, tra cui condizioni di marginalità, malesseri psichici e una solitudine che spesso preesiste la carcerazione. Il 23% delle persone detenute che si sono suicidate nel 2022 era senza fissa dimora: un dato che ci restituisce il background di molti degli individui incarcerati, provenienti da contesti di marginalità spesso stigmatizzati. Il carcere si presenta come luogo in cui la criminalizzazione del singolo sostituisce la risoluzione di problemi strutturali, come l’assenza di un supporto sia materiale che psicologico e di servizi di welfare adeguati. Carenze che interessano prima di tutto il mondo esterno al carcere.
È necessario, quindi, sottolineare quanto la privazione della libertà acuisca disagi e fragilità. La recisione delle relazioni con il mondo esterno, unita alla mancanza di spazi dignitosi e di un sostegno appropriato e continuativo - anche nel momento di arrivo nell’istituto - non fa altro che aumentare la possibilità che si muoia in carcere e di carcere.
Come si può osservare da questo grafico (fonte: Garante dei detenuti), il mese nel 2022 in cui sono avvenuti più suicidi è stato quello di agosto, in cui la presenza di operatorə e di contatto umano è mediamente inferiore rispetto agli altri periodi dell’anno; inoltre, ad agosto molte attività trattamentali vengono sospese e le visite si riducono. Jonathan Zenti ne parla in questa puntata del suo podcast Problemi DELI.
Anche Francesco Kento racconta, in questo articolo, la difficoltà di affrontare sia il mese di agosto che quello di dicembre per i ragazzi detenuti in uno degli IPM in cui svolge laboratori di rap e organizza tornei di Poetry Slam. Agosto perché porta il pensiero a un’estate negata, ad amicə lontanə e il caldo afoso non aiuta; dicembre per la distanza dalla famiglia e dagli affetti in un momento in cui si è solitə stare insieme.
L’alto numero di suicidi quindi - nel 2024 già quattro persone si sono tolte la vita - ci restituisce la tragicità e il totale fallimento del sistema penitenziario italiano.
L’affetto, la vicinanza, il contatto fisico sono importanti, se non fondamentali. Cosa spaventa della possibilità di garantire il diritto alla sessualità e affettività alle persone detenute? Cosa deve succedere ancora?
Rimane da chiedersi in che modo queste privazioni coinvolgano anche le persone care, che in carcere non vivono, ma che lo attraversano.
Legami sospesi
Estratto dal podcast “Io ero il milanese”, episodio 1 (20:48 - 22:26)
La privazione della libertà personale mette detenutə, familiari e «terze persone» nella condizione di dover reinventare la propria pratica degli affetti. Ciò presuppone l’apprendimento di nuove conoscenze e il confronto con regole e limiti imposti dall’esterno per poter mantenere vive le relazioni affettive.
Il primo ostacolo da superare è la burocrazia. Per poter accedere ai colloqui, le persone congiunte devono richiedere un permesso, che - in base al grado di parentela e affinità - può essere permanente (valido per più visite), ordinario (valido per una visita) o straordinario (valido per una sola visita extra). La linearità di questo processo è però solo apparente. Gli attori istituzionali incaricati di rilasciare il permesso sono molteplici: prima della sentenza di primo grado, se ne possono occupare la Procura, il Giudice delle Indagini Preliminari o il Tribunale; dopo la condanna, la Direzione del carcere. Nonostante ci siano alcune linee guida di massima, le procedure per la richiesta possono variare di comune in comune. Orientarsi tra le informazioni disponibili online non è sempre facile: alle persone che desiderano ottenere il permesso viene richiesto un certo grado di competenza digitale e di familiarità con il linguaggio burocratico. Il quadro si complica ulteriormente se poi chi presenta la domanda è una persona congiunta priva della cittadinanza in un Paese dell’Unione Europea; in tal caso, è necessario presentare anche una copia del permesso di soggiorno o del passaporto con visto d’ingresso, nonché conoscere l’italiano o cercare in autonomia un supporto linguistico.
Ottenuta l’autorizzazione, familiari e «terze persone» possono dover fare i conti con un ampio ventaglio di problemi. In primis, il tempo: i colloqui, infatti, hanno orari e giorni prestabiliti dall’istituto penitenziario, anche a seconda del regime di sicurezza di riferimento; non solo, le visite si svolgono a volte unicamente al mattino e in giorni infrasettimanali, riducendo notevolmente le possibilità di accesso per chi lavora o va a scuola (qui dati più approfonditi). Pur avendo a disposizione un numero prestabilito di ore mensili per i colloqui, all’atto pratico non sempre si riesce a usufruirne. Molti istituti hanno infatti un sistema di prenotazione attraverso il quale è necessario registrarsi: per ragioni di organizzazione interna, infatti, il numero di ingressi giornalieri è contingentato e la domanda per alcune date può essere più alta della disponibilità effettiva. In questo frangente, alcune persone non potranno visitare i propri affetti.
Inoltre, alla luce dell’alto numero di trasferimenti che coinvolgono chi è detenutə, per le persone congiunte raggiungere gli istituti penitenziari - situati spesso in aree periferiche o extraurbane - può diventare complicato e richiedere spostamenti anche su lunghe tratte (trans-cittadine o trans-regionali). Di conseguenza, il fattore economico diventa centrale: potersi permettere aerei, treni, autobus e taxi non è scontato e può rappresentare, al contrario, un privilegio; a tal proposito, segnaliamo l'interessante progetto 41bus, un servizio di trasporto che propone tariffe calmierate per raggiungere alcuni istituti.
Amare un uomo che sta in carcere è un gioco di abilità
«[…] Pochi istanti ed entrerò nello stargate che mi porterà da lui. Un minuetto di gesti e frasi che si ripete sempre uguale… nomi pronunciati come parole d’ordine, suoni di metal detector, ordini impartiti, voci imperative; il nastro trasportatore fagocita masserizie; domande, risposte, mani sulla mia persona… la realtà mi passa davanti come scene di uno spettacolo in allestimento. Non voglio che m’importi di nulla, di quel luogo in ogni caso contrario alla mia essenza. Sento solo i battiti del mio cuore come tonfi sordi dentro al mio petto e voglio con tutta me stessa che neanche un brandello della mia dignità resti impigliato nelle spine di quel passaggio obbligato. [...]»
Arrivata a destinazione, la persona congiunta può dover attendere tempi molto lunghi prima di essere autorizzata all’ingresso: «Per un’ora di colloquio, dovevo entrare alle 9 per poi uscire alle 15 ed ero obbligata ad aspettare in una stanza che è come una cella, chiusa a chiave e in estate soffocante», racconta Franca. C’è poi un ulteriore passaggio previsto per chi è in visita. Per avere accesso ai colloqui, è necessario disporre di un lucchetto per chiudere in un armadietto tutti quegli oggetti non ammessi all’interno del carcere: telefoni e chiavi, ad esempio. Chi entra per la prima volta in istituto, spesso questo non lo sa. S., nel raccontarci la sua esperienza, ricorda di essersi ritrovata a spendere 50 euro per un lucchetto venduto informalmente fuori dal carcere, pur di non rinunciare alla visita.
Una volta consegnati beni e documenti, tutte le persone - compresə lə minori - vengono sottoposte alla perquisizione da parte di agenti penitenziariə: un momento spesso umiliante che impone un controllo severo sul corpo, al quale non ci si può sottrarre, pena l’esclusione dalla visita. Suela, figlia di una persona detenuta, ricorda: «Oltre ad essere difficile per una bambina entrare all’interno di un carcere, essere perquisita, ti capitano anche tante piccole cose sgradevoli, ricordo una volta che [...] mi hanno fatto togliere la cintura e dovevo tirare i pantaloni perché non stavano su, è stato abbastanza umiliante e brutto, davvero pesante. Quello è il minimo comunque [...]».
Familiari e «terze persone» possono consegnare un pacco a chi è detenutə, ma cosa si possa introdurre in carcere è spesso tutt'altro che intuitivo. Per S., la sensazione è quella di un insieme di regole senza alcuna ratio, che restituiscono un’immagine grottesca degli istituti in cui, ad esempio, «si fa entrare il prosciutto cotto, ma non quello crudo». Quando finalmente si tiene il colloquio, si è sempre sorvegliatə a vista dal personale di custodia, che talvolta interviene per interrompere abbracci e scambi di affetto. Allo scadere del tempo a disposizione, un’ora, per chi è venutə da un’altra città sarà il momento di intraprendere il viaggio di ritorno.
Queste esperienze personali e al contempo largamente condivise possono generare in modo frammentario uno scambio di saperi informali e pratiche di solidarietà tra persone in visita. S. ad esempio ricorda come da persona inizialmente inesperta sia poi diventata, a sua volta, un punto di riferimento per persone alle prime armi. Così, informarsi reciprocamente su quale agente di polizia penitenziaria sia in servizio diventa un piccolo ma fondamentale accorgimento per capire, ad esempio, cosa si potrà inserire nel pacco. Atti di cura si fanno dunque spazio tra le mura del carcere.
Qualche consiglio
Ecco le proposte per questo numero.
Il film L’incorreggibile, di Manuel Coser (2021): Alberto viene scarcerato dopo cinquanta anni di detenzione e, senza più contatti, deve riadattarsi ad un mondo che ormai gli è sconosciuto;
Due articoli che mettono in luce l’assenza di un diritto alla sessualità nelle carcere italiane: uno di Federica Delogu, per Valigia Blu; l’altro di Giulia Siviero, per Il Post;
Due puntate radio: una di Radio Carcere che, con la conduzione di Riccardo Arena e l’intervento di alcunə giuristə, esamina il trascorso legale del diritto alla sessualità in Italia e il dibattito attualmente in atto; un’altra di Radio Blackout, in cui viene presentata l’iniziativa di uno Sportello di Supporto Psicologico - accessibile settimanalmente online - per chi sopravvive alla morte di un proprio affetto in carcere.
Free Palestine
In Cisgiordania è presente l’unico tribunale militare minorile al mondo;
Due approfondimenti sulle condizioni in carcere dellə bambinə palestinesi: uno in inglese, uno in italiano;
Video-intervista a Raed Sarsour, rilasciato a inizio dicembre dalle carceri israeliane;
Un’altra intervista: questa a Khaled el-Qaisi, lo studente italo-palestinese detenuto senza un capo d’accusa per 32 giorni in un carcere israeliano;
Un reportage della BBC sulla detenzione amministrativa di centinaia di palestinesi;
Il report di Amnesty International sulle condizioni degradanti e le torture a cui sono sottoposte le persone palestinesi ristrette.
Grazie per essere arrivatə fin qui!
Se vi va di scriverci per feedback, commenti e segnalazioni in risposta a questa mail o tramite i nostri canali, a noi fa molto piacere.
Prima di salutarci, però, un’ultimissima cosa. A fine mese, uscirà un contenuto speciale dedicato a sessualità e affettività negli Istituti Penali Minorili. Spoiler qui.
A presto!
Gina, Nicolò, Mafalda, Elisa
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